Capitolo III. Le parole degli altri, mio il discorso:
Non al denaro non all'amore né al cielo (1971)

 

 

III – 1. Tra concept album e riscrittura collettiva

 

Non al denaro non all'amore né al cielo esce per la Produttori Associati nel 1971, nel pieno del decennio che, per Fabrizio De André, sarà il più prolifico di sempre: nel giro di undici anni, dal 1967 al 1978, il cantautore pubblica infatti ben nove long-playing, contro i quattro del ventennio che si apre dopo l'esperienza del sequestro in Sardegna nel 1979110. Il periodo a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta, in particolare, non è solo in assoluto il più produttivo dal punto di vista discografico, ma è anche e soprattutto quello in cui giungono a maturazione alcune tendenze relative alle modalità e alle forme della scrittura deandreiana che con il tempo diverranno – come già scrivevamo – un vero e proprio marchio di fabbrica.

 

La prima di queste tendenze riguarda la scrittura collaborativa. Sebbene, infatti, i quattro dischi pubblicati tra il 1967 e il 1970 – Volume 1, Tutti morimmo a stento, Volume 3 e La buona novella – siano sostanzialmente opera, a livello autoriale, del solo De André111, a mano a mano che i lavori si fanno più complessi e ambiziosi anche il ruolo svolto dai collaboratori tende a farsi via via più ampio e articolato. Da sottolineare ancora, per questi primi anni, è soprattutto il contributo di Gian Piero Reverberi, il quale, ingaggiato e riconosciuto unicamente in qualità di arrangiatore, dà in realtà un'impronta molto forte alla componente musicale nel suo complesso – sia a livello di forme e strutture utilizzate, sia, più raramente, a livello di scrittura vera e propria, in particolare per quanto riguarda Tutti morimmo a stento e La buona novella.

 

Nel caso di quest'ultimo lavoro, alla figura di Reverberi si aggiunge quella, altrettanto fondamentale, del produttore Roberto Dané, il quale, andando ben oltre le mansioni di supervisione e coordinamento discografico che gli competono in prima persona, assiste il cantautore anche durante la fase più propriamente letteraria di scrittura dei testi. Ed è proprio il riferimento a Dané che ci permette di collegarci alla seconda delle tendenze che si consolidano in questo periodo, ovvero l'utilizzo sempre più frequente, e sempre più maturo e originale al tempo stesso, della forma del concept album, inaugurata in via sperimentale con Tutti morimmo a stento e poi recuperata e ulteriormente sviluppata e approfondita nei tre dischi pubblicati tra il 1970 e il 1973 (tutti prodotti, non a caso, da Roberto Dané): La buona novella, Non al denaro non all'amore né al cielo e Storia di un impiegato.

 

In questo contesto, possiamo dire che l'album a cui il presente capitolo è dedicato segni un punto di svolta decisivo all'interno della carriera di De André, innanzitutto proprio perché, per la prima volta, il cantautore sceglie in via del tutto intenzionale e meditata di condividerne interamente la scrittura con altri, e precisamente con Giuseppe Bentivoglio per quanto riguarda i testi e con Nicola Piovani per quanto riguarda le musiche; della squadra, anche se non propriamente in veste di autori, fanno poi parte a tutti gli effetti anche i due produttori Dané e Sergio Bardotti. Nel caso specifico si tratta, è bene sottolinearlo, di una scelta che risponde tanto a esigenze e caratteristiche intrinseche a quello che abbiamo visto essere stato da sempre l'approccio di De André alla scrittura – approccio, peraltro, poi confermato anche negli anni a venire – , quanto inevitabilmente legata anche al contesto storico, politico, sociale e culturale che fa da cornice alla lavorazione dell'album, e che ha come sua premessa fondamentale il Sessantotto.

 

In questo senso, non del tutto prive di fondamento – per quanto confuse e mosse in buona parte, probabilmente, da rancori personali – appaiono le critiche rivolte da Reverberi ai lavori immediatamente successivi a La buona novella, e al fatto che, con Dané di mezzo, De André si fosse calato nel ruolo di intellettuale di sinistra, e avesse cominciato a condurre un discorso troppo scopertamente politico.112 Una conferma, del resto, ci viene dal secondo disco realizzato dal cantautore insieme a Bentivoglio e a Piovani, Storia di un impiegato, in cui, a cinque anni di distanza, si cerca di fare il punto sul movimento sessantottino fallendo clamorosamente nell'impresa di ricavarne un messaggio chiaro e coerente da proporre, e mettendone invece in mostra tutte le lacerazioni e le ferite ancora aperte e ormai in cancrena.

 

Nonostante in Non al denaro non all'amore né al cielo i riferimenti diretti alla politica siano molto più limitati e anzi quasi assenti, è indubbio che anche in questo caso il clima post-Sessantotto abbia influito tanto sul taglio conferito al disco – taglio fortemente didascalico – quanto sulla pratica compositiva nel concreto, caratterizzata, secondo le testimonianze di De André e di Piovani, da interminabili chiacchierate, discussioni e confronti all'interno del gruppo di lavoro prima ancora che dalle operazioni di scrittura vera e propria, nelle due fasi di elaborazione dei testi e delle musiche (spesso e volentieri, come già sottolineavamo, a partire da un giro di accordi già abbozzato in precedenza).113

 

Di fatto, però, diversamente da quanto avviene nel caso di Storia di un impiegato, in Non al denaro non all'amore né al cielo De André riesce a evitare di mettere la politica in primo piano spostando il baricentro su un piano essenzialmente umano, e incanalando quindi i contributi dei vari collaboratori nella direzione da lui desiderata. Tanto che proprio Roberto Dané, nell'intervista rilasciata a Riccardo Bertoncelli che abbiamo già avuto modo di citare, riconosce appunto in questa straordinaria capacità di mediare, e allo stesso tempo di assorbire gli elementi di provenienza altrui facendoli propri, la principale chiave delle collaborazioni deandreiane: "Fabrizio ha passato la vita a collaborare [...] Ma è vero che gli altri li usava, per essere sempre se stesso. Era lui il filtro, lui a mediare".114

 

Per quanto riguarda, d'altro canto, il secondo aspetto che abbiamo accennato sopra, se da un lato Non al denaro non all'amore né al cielo si inserisce a pieno titolo nella triade di dischi a tema realizzati da De André e prodotti da Dané all'inizio degli anni Settanta, dall'altro la sua forma di concept album è inestricabilmente legata, nel caso specifico, al suo essere la riscrittura di un'opera letteraria, e precisamente dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Come nel caso – già rapidamente preso in considerazione – de La buona novella, quindi, a fare di Non al denaro non all'amore né al cielo un concept album non è semplicemente la trattazione di una determinata tematica, né lo svilupparsi di una dimensione narrativa a collegare i diversi brani – come sarà nel successivo Storia di un impiegato – , e non è neppure l'utilizzo di una particolare forma o struttura musicale che inglobi in sé le singole canzoni – come era già stato, in buona parte, nel caso di Tutti morimmo a stento.

 

Come per La buona novella, invece, anche qui a fungere da collante principale è un'opera letteraria preesistente, a cui non solo si fa esplicitamente riferimento, ma di cui si dispone in modo del tutto libero modificandone la forma e piegandone il contenuto ideologico al proprio messaggio. Se, però, abbiamo visto che ne La buona novella il riferimento ai Vangeli apocrifi serviva per lo più, oltre che a fornire il materiale narrativo primario, come pretesto e occasione per elaborare una narrazione alternativa a quella ufficiale e per sviluppare un'allegoria del tutto originale contro il potere e contro l'autorità, nel caso di Non al denaro non all'amore né al cielo, al contrario, il lavoro viene inequivocabilmente svolto a partire dal testo letterario di riferimento, considerato non solo nel suo insieme ma anche e soprattutto nelle sue singole parti.

 

La riscrittura dell'Antologia di Spoon River realizzata da De André e dai suoi collaboratori coinvolge sostanzialmente due diverse operazioni, che si fondono nel dare concretamente vita al disco così come noi possiamo fruirlo. La prima è un'operazione di carattere formale, che riguarda, innanzitutto, quella fondamentale "traduzione inter-semiotica"115 mediante la quale dal medium letterario dell'antologia poetica di Masters si passa al medium della canzone – nelle sue tre componenti letteraria, musicale e performativa – , e che, dato questo presupposto, non può che comportare anche modifiche macro e micro-strutturali al testo di partenza. Tra le modifiche macro- strutturali, la più vistosa è sicuramente la selezione delle liriche operata dal cantautore all'interno dell'antologia, cosicché dai circa duecentocinquanta componimenti del poeta americano si passa, nell'album, a nove brani.

 

A livello micro-strutturale, invece, l'adattamento dei testi di Masters in forma di canzone implica chiaramente tutta una serie di modifiche tecniche apportate alle singole poesie, in particolare per quanto riguarda la struttura metrica e rimica, che in una canzone non solo devono necessariamente adattarsi alla sottostante struttura musicale, ma servono anche direttamente la performance orale del cantautore. Bisogna specificare, a questo proposito, che i testi su cui De André e Bentivoglio intervengono non sono in realtà quelli in inglese di Masters, ma le loro traduzioni italiane a opera di Fernanda Pivano, la quale, pur non facendo parte della squadra del cantautore, ne segue tuttavia il lavoro da vicino. L'operazione compiuta da De André in questo caso, quindi, non ha nulla a che fare con la traduzione propriamente intesa.

 

Il secondo livello coinvolto dalla riscrittura deandreiana è invece il livello che potremmo definire ideologico, e si identifica per l'appunto con il messaggio racchiuso nell'album; il quale, pur considerato il riutilizzo di materiale altrui, appare non solo del tutto originale e in linea con la poetica di Fabrizio De André, ma anche incredibilmente moderno e aderente al contesto politico, sociale e culturale dell'Italia dell'epoca. Ed è proprio qui, in fin dei conti, che il senso più profondo dell'operazione compiuta dal cantautore in Non al denaro non all'amore né al cielo va individuato, perché, come è lui stesso ad affermare:

 

Il discorso è sempre mio. Mi sono ritrovato in questi personaggi di Spoon River come si sono ritrovati altri: perché ci rassomigliamo un po' tutti. Il fatto clamoroso è che questi personaggi che si muovevano nella piccola borghesia dell'America degli anni '10 siano gli stessi che si muovono nella borghesia della grande Europa del 1971, o del grande mondo. [...] Comunque il mio è stato solo un lavoro di mosaicista. Masters aveva già detto tutto [...]116

 

Si tratta di una dichiarazione importante (e a cui, peraltro, ci era già capitato di fare in parte riferimento nel primo capitolo), particolarmente significativa laddove il cantautore, pur riconoscendo a pieno titolo a Masters la paternità dei contenuti e, concretamente, dei testi di partenza, rivendica comunque come suo il "discorso", e cioè non solo – non tanto – il lavoro di rielaborazione e adattamento formale dell'opera letteraria da lui compiuto insieme ai collaboratori, ma soprattutto l'aver saputo sviluppare, a partire da quell'opera, un significato autentico e originale.

 

 

III – 2. L'Antologia di Spoon River come pre-testo

 

Prima di analizzare nel dettaglio la riscrittura realizzata da De André in Non al denaro non all'amore né al cielo, non possiamo non spendere qualche parola in merito all'opera letteraria che ne costituisce il pre-testo. The Spoon River Anthology è una raccolta di testi poetici in versi liberi e in forma di epigrafe, ciascuno dei quali dedicato – con poche eccezioni fra cui la lirica introduttiva intitolata The Hill – a un defunto del fittizio villaggio americano di Spoon River117, defunto che viene indicato nel titolo con nome e cognome e che prende la parola in prima persona per raccontare la storia della propria vita – o, più spesso, della propria morte – agli immaginari visitatori del cimitero in cui riposa, e ai vivi in generale.

 

Le liriche che compongono l'antologia vengono inizialmente pubblicate tra il maggio e il dicembre del 1914 su un giornale di St. Louis nel Missouri, il Reedy's Mirror, a mano a mano che Edgar Lee Masters le redige, prendendo in parte spunto dai casi che si era trovato ad affrontare come avvocato in tribunale e in parte attingendo, invece, a vicende ed episodi relativi alle due cittadine in cui aveva trascorso la sua giovinezza, Petersburg e Lewistown.118 La prima edizione completa, pubblicata a Chicago nell'aprile del 1915, è un successo letterario clamoroso. Bisogna dire che a stimolare l'interesse della maggior parte dei lettori sono allora – e saranno per lungo tempo a venire – più che altro i contenuti delle poesie, e il realismo di Masters che, proprio in quanto tale e senza scrupoli di sorta, smaschera il falso moralismo di matrice piccolo-borghese dilagante nella società americana del tempo.

 

Fra i primi a riconoscere all'Antologia un valore letterario altro e ulteriore rispetto a quello di denuncia sociale è, quantomeno in Europa, Cesare Pavese. Autore di una tesi di laurea su Walt Whitman e in generale affamato conoscitore della letteratura americana anche grazie all'amico e corrispondente Antonio Chiuminatto, che dagli Stati Uniti gli spedisce i testi degli scrittori da lui richiesti in edizione economica, Pavese ha modo di leggere l'opera di Masters esattamente quindici anni dopo la sua prima pubblicazione a Chicago, all'inizio del 1930. Il primo dei suoi tre famosi saggi dedicati a Spoon River119 esce già l'anno successivo sulla rivista La Cultura; vale la pena, credo, di citarne qui alcuni passaggi, se non altro perché il valore primario riconosciuto da Pavese all'Antologia ha, a mio parere, a che fare molto da vicino con gli aspetti che rendono la riscrittura deandreiana un'operazione così pertinente e così riuscita, come vedremo nelle prossime pagine:

 

[...] se si prende Edgar Lee Masters, come vogliono, per un antipuritano, lo si riduce a un ben misero e trascurabile libellista. [...] il fatto importante non sta nella polemica contro certi modi puritani [...] ma nell'ardore invece veramente da puritano con cui sono affrontati, oltre il particolare momento storico, il problema del senso dell'esistenza e il problema delle proprie azioni [...]120

E più oltre:

 

[...] potrebbe anche parere, a sfogliarlo, una rassegna di casi clinici. La differenza sta soltanto nell'occhio del poeta che guarda i suoi morti, non con compiacenza malsana, o polemica, [...] ma con una consapevolezza austera e fraterna del dolore di tutti, della vanità di tutti, e a tutti fa pronunciare la confessione, a tutti strappa una risposta definitiva, non per cavarne un documento scientifico o sociale, ma soltanto per sete di verità umana.121

 

Secondo Pavese, quindi, il vero valore dell'Antologia di Spoon River non sta nel suo aspetto – pure, indubbiamente presente – di critica o di polemica nei confronti della società e della sua falsa morale; sta, invece, nell'indagine sincera che Masters conduce intorno all'umanità dei personaggi, concedendo loro la possibilità, almeno da morti, di gridare la loro verità struggente ed estrema, e in questo modo essere compresi per quello che in vita non hanno mai potuto essere. Indagine, è bene sottolinearlo, che non dà mai luogo a una visione d'insieme in grado di illuminare il tutto di senso, ma che si conserva in tutta la sua tensione etica senza mai giungere a una soluzione.

 

È sempre Cesare Pavese, tra l'altro, a procurare il testo in lingua originale dell'Antologia di Spoon River alla futura traduttrice italiana dell'opera, la sua ex-allieva Fernanda Pivano, e in seguito a convincere Giulio Einaudi a pubblicare la traduzione da lei realizzata nei primi mesi del 1943. Se le vicessitudini relative alla tormentata storia editoriale della raccolta di Masters in italiano sono divenute nel tempo quasi leggendarie122, è comunque fondamentale tenere quantomeno presente questo: l'Antologia, in Italia, viene tradotta per la prima volta in piena epoca fascista, e da testo – qual è – non particolarmente gradito alla censura di regime, essa inizia a circolare in modo semi- clandestino soprattutto tra i giovani del tempo; di conseguenza, anche negli anni a venire all'opera sarà sempre associato un particolare significato intriso di antifascismo, il quale andrà necessariamente a sovrapporsi all'aspetto – che aveva, fino ad allora, ricevuto più attenzioni – di denuncia libertaria della falsa morale piccolo-borghese.

 

Proprio grazie alle sue vicende editoriali, in altre parole, l'Antologia di Spoon River diviene presto in Italia un testo con una storia tutta sua, attraverso la quale il libertarismo di Masters si trasforma in un'occasione di ribellione a un dato contesto e a un dato sistema123; un simbolo, quasi, dell'opposizione al fascismo che, in altre forme, continuerà a sopravvivere anche dopo la fine della guerra, e in quanto tale continuerà a essere opposto. Quando Fabrizio De André legge per la prima volta l'Antologia di Spoon River alla fine degli anni Cinquanta, possiamo presumere che questo particolare significato tutto italiano del libro fosse ancora ben presente; non sorprende più di tanto, dunque, che nel 1971 l'opera di Masters dovesse sembrare a lui e ai suoi collaboratori un ottimo pre-testo attraverso cui rivolgersi, e dire ancora molto, alla società italiana del tempo.

 

 

III – 3. Un microcosmo in microsolco

 

Nel dedicarci finalmente, ora, all'analisi della riscrittura deandreiana, partiremo necessariamente da quella "traduzione inter-semiotica" che consiste nel passaggio dal medium letterario dell'Antologia di Spoon River al medium letterario-musicale della canzone, e di Non al denaro non all'amore né al cielo. Si tratta di una trasformazione assolutamente basilare all'interno delle dinamiche creative dell'album, che non deve mai assolutamente essere persa di vista o messa in secondo piano, se si vuole evitare di cadere nell'errore di considerare la riscrittura di De André come una seconda opera letteraria e non – quale invece è – come un disco di canzoni, scritte e poi anche interpretate dal loro autore. La musica è qui un elemento tutt'altro che secondario, o accessorio, e anche se nel caso specifico il lavoro viene svolto a partire da una precedente opera di letteratura, l'Antologia di Masters è sempre da considerarsi più uno strumento di cui De André si serve per condurre il proprio discorso in forma di canzoni, che non viceversa qualcosa di cui il suo disco sia a servizio.

 

Che la musica sia un elemento strutturale dell'album lo prova, in primo luogo, la già citata testimonianza di Nicola Piovani – quella secondo cui De André era solito abbozzare i giri armonici in partenza – dalla quale risulta chiaro che i brani di Non al denaro non all'amore né al cielo prendano forma nella testa del cantautore fin dal principio sotto forma di canzoni, e non di poesie a cui la musica sia stata cucita addosso in seguito. Al di là, comunque, di quelle che sono le testimonianze riguardanti il processo compositivo dell'album in nostro possesso, una prova ancora più eloquente della funzione strutturale della musica in quest'opera è contenuta nei testi medesimi, che divergono da quelli originali di Masters in primo luogo proprio per aspetti squisitamente formali, e riguardanti la struttura metrica e rimica.

 

Abbiamo detto che gli epitaffi di Spoon River sono in versi liberi; caratteristica, questa, che – suggerita al poeta americano, come la forma complessiva della raccolta, dall'Antologia Palatina124 – è indice di tutta la modernità dell'opera, ed è l'espressione stilistica primaria di quella "dimensione unica della memoria"125 che più di ogni altra cosa fa da filo rosso ai diversi componimenti. Il fatto che in Non al denaro non all'amore né al cielo del verso libero – mantenuto, ovviamente, da Fernanda Pivano nella sua traduzione – non sia rimasta traccia, ma, al contrario, tutti i brani del disco presentino una struttura metrica ben definita, è indicativo innanzitutto della loro natura di testi di canzoni, che, in quanto tali, devono adattarsi alla sottostante struttura musicale. Proviamo, per esempio, a confrontare la prima parte del brano che apre il disco di De André, La collina, con quella della corrispondente lirica introduttiva della raccolta di Masters, The Hill (in traduzione):

 

Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,

l'abulico, l'atletico, il buffone, l'ubriacone, il rissoso?

Tutti, tutti, dormono sulla collina.

Uno trapassò in una febbre,

uno fu arso nella miniera,

uno fu ucciso in una rissa,

uno morì in prigione,

uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari –

tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina. [...]126

 

Dove se n'è andato Elmer

Che di febbre si lasciò morire

Dov'è Herman bruciato in miniera.

Dove sono Bert e Tom

Il primo ucciso in una rissa

E l'altro che uscì già morto di galera.

E cosa ne sarà di Charley

Che cadde mentre lavorava

E dal ponte volò, volò sulla strada.

Dormono, dormono sulla collina

Dormono, dormono sulla collina. [...]127

 

Si noterà che, mentre nel testo dell'Antologia di Spoon River i versi e le strofe sono di lunghezza variabile, il testo di De André, al contrario, presenta una struttura molto regolare, data da una sequenza di terzine composte da versi metricamente vari – ma sempre facilmente identificabili, e compresi per lo più tra il settenario e il dodecasillabo – quadripartita per mezzo di un distico di endecasillabi fra loro identici che si ripete uguale, a mo' di ritornello, ogni tre strofe.

 

Si noterà altresì che il cantautore, pur attenendosi fondamentalmente alle immagini della lirica di Masters, ne riorganizza però liberamente la distribuzione e la progressione, in modo da garantire innanzitutto quella fondamentale regolarità ritmica che è del tutto assente nella poesia di partenza, e che qui consente invece al testo della canzone di adattarsi al sottostante tempo musicale in tre quarti e in particolare al fraseggio ritmico-melodico della parte cantata, che, in base al fondamentale principio della stroficità, si mantiene sostanzialmente invariato al variare delle strofe:

 

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Un discorso simile va fatto per quanto riguarda le rime, che nell'Antologia di Spoon River sono un espediente stilistico tutt'altro che consueto e a cui invece sappiamo che De André ricorre molto spesso, e per una ragione ben precisa. Nella parte de La collina che abbiamo riportato sopra, per esempio, "miniera" alla fine della prima terzina rima con "galera" alla fine della seconda, mentre altrove all'assenza di rime vere e proprie suppliscono le assonanze, come quella tra "lavorava" e "strada" all'interno dell'ultima terzina o quella, meno forte, tra "morire" nella prima terzina e "rissa" nella seconda.128

 

Le rime introducono nel nostro discorso anche un elemento ulteriore, che ha a che fare con quella terza componente dell'arte della canzone che altrove abbiamo definito performativa, e che si concretizza nell'interpretazione cantata del brano in questione da parte, in questo caso, dello stesso cantautore. Mentre, infatti, l'Antologia di Spoon River è un testo destinato principalmente alla fruizione solitaria tramite lettura silenziosa, Non al denaro non all'amore né al cielo è un disco di canzoni, che devono quindi necessariamente essere fruite tramite l'ascolto, e il cui testo, accompagnandosi alla musica e venendo veicolato per mezzo dell'esecuzione cantata, è interamente affidato all'oralità. In questo contesto, le rime svolgono chiaramente la funzione – comune, del resto, a molta poesia di derivazione tanto colta quanto soprattutto popolare – di facilitare la comprensione, l'assimilazione e necessariamente anche la memorizzazione del testo, le cui parti risultano ancora più strettamente legate tra loro proprio grazie ai richiami fonici e fonetici che ricorrono nel corso del suo progredire.

 

Aggiungiamo che in Non al denaro non all'amore né al cielo l'esecuzione cantata riceve, nel complesso, una cura particolare, e De André si sforza per la prima volta di andare oltre l'utilizzo naturale della sua voce per rendere il canto più aspro e più espressivo, come si avverte già ascoltando il brano d'apertura e come è lui stesso a dichiarare:

[...] la mia voce è particolarmente dolce, anche se io ho cercato di inasprirla un po'. [...] ho cercato di cantare in diversi modi, proprio a livello di tono: la mia voce è diventata più espressiva e meno raccontiera del solito, e sono contento dei risultati perché ho dimostrato a me stesso di poter raggiungere delle tonalità alte che ritenevo al di fuori delle mie possibilità. Prima avevo la mania della bella forma, del bel dire: invece, tutto sommato, va bene così [...]129

 

Considerato questo primo e fondamentale aspetto di "traduzione inter-semiotica", vediamo ora più nel dettaglio le manipolazioni effettuate da De André e dai suoi collaboratori sull'Antologia di Spoon River, sia sul piano formale sia sul piano ideologico. A livello macro-strutturale, l'operazione più vistosa compiuta dal cantautore è sicuramente, dicevamo, la selezione di nove brani tra i duecentoquarantaquattro della raccolta di Masters: selezione drastica, dovuta innanzitutto, com'è ovvio, al formato stesso di un disco di canzoni, che per sua natura può supportare soltanto una quantità limitata di materiale sonoro, e che, anche per una questione legata alle modalità della sua fruizione, non supera normalmente una determinata durata.

 

De André, tuttavia, non si limita a fare una selezione del materiale letterario originario per adattarsi a quelli che potrebbero apparire come i limiti del supporto da lui utilizzato, ma, al contrario, sfrutta le caratteristiche intrinseche al disco in vinile per conferire al suo lavoro una struttura fondamentalmente diversa da quella dell'Antologia, ed evidentemente frutto di una sua rielaborazione originale.

La scelta dei brani, innanzitutto, non è casuale così come potrebbe apparire a prima vista, ma viene effettuata sulla base di un criterio tematico ben preciso. Fra le numerose possibilità a disposizione, il cantautore sceglie di costruire il proprio album intorno ai due temi dell'invidia e della scienza, da lui ritenuti particolarmente adatti, evidentemente, per condurre un discorso efficace sulla società contemporanea, tanto a livello di critica nei confronti dell'ideologia piccolo-borghese che ne è alla base quanto come discorso umano in senso più ampio130:

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La breve epigrafe di Frank Drummer, tutto preso dalla smania di comunicare agli altri quello che gli "si agitava dentro"131, viene riscritta da De André e Bentivoglio come la storia di un matto senza nome, la cui follia coincide proprio con l'invidia ed è connotata più in senso sociale che non psicologico o psichiatrico, in quanto derivante o comunque connessa con la discriminazione e l'isolamento che egli subisce per i suoi comportamenti anormali, e cioè diversi da quelli della maggioranza.132 La trattazione del primo tema prosegue poi con la vicenda del giudice nano Selah Lively, che si serve della sua professione per vendicarsi della sorte e dello scherno di cui è sempre stato fatto oggetto da parte di tutti per via della sua statura, e con quella di Wendell P. Bloyd, il "blasfemo che è un esegeta dell'invidia e per salirne alle origini la va a cercare in Dio"133, salvo poi rendersi conto – ed è, questa, una delle aggiunte e delle manipolazioni più significative effettuate da De André sui testi di Masters – che non era Dio a detenerne le cause, ma il potere che a sua volta di Dio si serviva.134

 

A offrire, d'altro canto, una parabola di risoluzione positiva contro l'individualismo dell'invidia è la storia di Francis Turner, il malato di cuore che, pur avendo anch'egli, in teoria, tutte le ragioni per essere invidioso, diversamente dagli altri tre personaggi riesce a riscattare quella vita che fino ad allora aveva vissuto soltanto a metà rendendosi disponibile ad amare senza risparmiarsi.

Per la trattazione del secondo tema, invece, le epigrafi selezionate dall'Antologia e poi rielaborate sono, innanzitutto, proprio quelle di tre professionisti della scienza: il dottor Siegfried Iseman, medico dalle nobili e altruistiche intenzioni la cui realizzazione viene impedita dal sistema socio-economico e, ancora una volta, dal potere alla sua base; il farmacista Trainor, che De André – ampliando notevolmente lo spunto fornito dalla poesia di Masters – trasforma in un chimico recluso volontariamente nel suo laboratorio a fare esperimenti per sfuggire alla vita e all'amore; infine l'ottico Dippold, che ai suoi clienti offre lenti speciali per espandere la realtà circostante, e a cui nella canzone di De André si sovrappone – come vedremo – l'immagine di uno spacciatore di allucinogeni.

 

A queste tre figure, accomunate dal fatto di rappresentare negativamente la scienza in quanto strumento nelle mani del potere ma soprattutto in quanto antitetica alla vita vera, si contrappone il suonatore Jones – l'unico personaggio di Spoon River di cui il cantautore conservi il nome all'interno della propria riscrittura – , per il quale l'esercizio della musica non è un mestiere, ma una scelta che va di pari passo con la vita e costituisce con essa un tutt'uno inscindibile.

 

Dando uno sguardo allo schema dell'album riportato due pagine addietro, si noterà che De André sfrutta in modo particolarmente efficace la suddivisione, intrinseca al 33 giri in vinile, del materiale sonoro in due parti corrispondenti ai due lati del supporto, assegnando a ciascun lato i brani relativi a uno dei due temi e andando a creare, in questo modo, una struttura perfettamente simmetrica che si sovrappone – pur non sovrastandola del tutto – alla logica strutturale del testo di Masters. L'Antologia di Spoon River, infatti, è semplicemente una raccolta di poesie, simili fra loro per forma ma disposte in sequenza, l'una accanto all'altra, senza nessun criterio particolare, e accomunate invece soprattutto dal riferimento al fittizio – eppure ricco di riferimenti reali – villaggio di Spoon River; se volessimo, quindi, individuarne e definirne una qualsivoglia logica strutturale, essa sarebbe necessariamente quella che, dal microcosmo degli abitanti di questo villaggio americano sospeso fra la realtà e l'immaginazione, ci permetterebbe di risalire al macrocosmo non solo dell'America, ma dell'umanità tutta.

 

Per quanto riguarda Non al denaro non all'amore né al cielo, da un lato questa logica di microcosmo viene senz'altro mantenuta, e il fatto che De André scelga di aprire il suo album con la riscrittura della lirica introduttiva dell'Antologia – conservando peraltro, nella maggior parte dei casi, i nomi originali dei personaggi di Masters – ne è una prova importante, perché mediante essa anche i protagonisti senza nome di tutti gli altri brani vengono in qualche modo ricondotti alla comunità che riposa nel cimitero sulla collina, e inglobati quindi in un insieme comune. D'altro canto, però, la scelta dei due temi dell'invidia e della scienza permette al cantautore di muoversi trasversalmente all'interno dell'Antologia di Spoon River, creando un percorso orientato in una direzione e verso un messaggio ben precisi.

 

Il lato A – con l'unica e significativa eccezione del brano La collina – è strutturato in maniera esattamente speculare al lato B: in entrambi i casi, alla trattazione della rispettiva tematica mediante tre parabole negative, i cui personaggi vivono schiavi rispettivamente dell'invidia e della scienza e spesso e volentieri soccombono proprio sotto i loro colpi (Un matto, Un giudice e Un blasfemo nel lato A; Un medico, Un chimico e Un ottico nel lato B), fa seguito invece – come già abbiamo anticipato – una parabola positiva, contenente in ciascun caso una proposta per liberarsi dalle costrizioni portate con sé da questi due vizi, attraverso la scelta dell'amore (in Un malato di cuore) e della libertà (ne Il suonatore Jones). Il brano conclusivo, poi, assume un significato e un'importanza particolari all'interno del disco, non solo per la sua possibile e spesso evidenziata valenza autobiografica, ma anche perché, trovandosi agli antipodi del brano di apertura che omaggia la struttura antologica dell'opera di Masters, è quello che più di tutti, invece, marca lo scarto rappresentato dalla riscrittura deandreiana, contenendo esso la summa del messaggio intorno a cui tutto il discorso dell'album prende forma.

 

Si noti, peraltro, che è paradossalmente proprio attraverso il personaggio del suonatore Jones che le due logiche strutturali sottese dal disco – quella di microcosmo portata con sé dall'Antologia di Spoon River e quella legata, invece, alla riscrittura di De André – possono convivere in armonia, senza escludersi l'un l'altra o entrare necessariamente in conflitto. Non è certo un caso, in fondo, che il suonatore Jones sia l'unico dei personaggi del disco a venire introdotto già nel brano d'apertura, e ad avere lì – come, del resto, già nella lirica di Masters – una strofa interamente dedicata, dalla quale viene ricavato anche il titolo dell'album e nella quale è già fondamentalmente presente il nucleo di quel messaggio che sarà poi ulteriormente sviluppato ed elaborato nel brano conclusivo:

 

[...]

Dov'è Jones il suonatore

Che fu sorpreso dai suoi novant'anni

E con la vita avrebbe ancora giocato.

Lui che offrì la faccia al vento

La gola al vino e mai un pensiero

Non al denaro, non all'amore né al cielo.

[...]135

 

[…]

Libertà l'ho vista dormire nei campi coltivati

A cielo e denaro, a cielo ed amore

Protetta da un filo spinato.

 

Libertà l'ho vista svegliarsi ogni volta che ho suonato

Per un fruscio di ragazze a un ballo

Per un compagno ubriaco.

[...]136

 

Messaggio, quello del suonatore Jones, di libertà incondizionata e incondizionabile, che non ha altri fini se non in se stessa, e che nel disco di De André viene eletta a unico autentico modo di vivere pienamente la vita, arrivando alla morte con "[...]un ridere rauco e ricordi tanti / e nemmeno un rimpianto."137

 

All'inizio di questo capitolo scrivevamo che in Non al denaro non all'amore né al cielo Fabrizio De André riesce a evitare quel discorso apertamente politico che sarà invece inevitabile nel disco successivo, e a mantenere la sua indagine su un piano essenzialmente umano. A testimoniarlo – oltre alle parole del cantautore medesimo, che nell'intervista a Fernanda Pivano riportata nelle note di copertina dell'album dichiara che secondo lui "il difetto sostanziale sta nella natura umana"138 – ci sono alcune caratteristiche formali comuni, di fatto, a tutte le canzoni del disco; caratteristiche che, se a un primo sguardo sembrerebbero distanziare anche notevolmente il lavoro di De André dall'opera di Masters, se analizzate a fondo mostrano invece come la riscrittura deandreiana funzioni particolarmente proprio in virtù della sua aderenza – per quanto dialettica, e mai scontata – a quello che già Pavese, abbiamo visto, identificava con il principale valore dell'Antologia di Spoon River, e cioè a quell'indagine traboccante di "consapevolezza austera e fraterna" compiuta da Masters intorno alla natura umana.

 

Fra queste caratteristiche formali, la più evidente ha senza dubbio a che fare con la scelta di De André di eliminare pressoché tutti i numerosi riferimenti dell'Antologia al contesto relativo al microcosmo di Spoon River; contesto che, per quanto fittizio, implica inevitabilmente un'attenzione più ad aspetti sociali che non umani, in virtù delle sue analogie e dei suoi parallelismi con il contesto reale. Mentre i personaggi di Masters, dunque, sono sempre molto chiaramente identificati attraverso il loro nome e spesso e volentieri anche attraverso il loro cognome, e sono sempre riconducibili alla comunità del villaggio e alle sue dinamiche socio-politiche interne, nelle canzoni di De André, al contrario, il contesto è delineato con tratti appena sufficienti a permettere alla storia di avere luogo, e per il resto l'attenzione è tutta dedicata ai singoli personaggi e alla loro interiorità: alle loro aspirazioni, alle loro paure, ai loro rancori, alle loro fantasie, ai loro amori; alla loro umanità, in fin dei conti, la quale è a ben vedere il vero motore delle vicende narrate nei vari brani.

 

Se, quindi, la storia del giudice Selah Lively rappresenta per Masters anche un'occasione per ribadire i rapporti di potere esistenti nel villaggio e delineati anche altrove nel corso dell'Antologia, in Un giudice la stessa storia, pur presentando uno svolgimento del tutto simile a quello del testo di partenza, e pur sottolineando anch'essa la scalata sociale del protagonista, è tutta incentrata sul fardello del suo nanismo, che per anni gli causa lo scherno di tutti e che, in questa luce, diviene la comprensibile causa della sua sete di vendetta.139 Allo stesso modo, mentre nell'epigrafe di Francis Turner Masters sente la necessità di rendere la ragazza baciata dal protagonista testimone e allo stesso tempo unica custode del suo "segreto"140, in Un malato di cuore la stessa ragazza – per quanto chiaramente presente – non viene mai direttamente nominata se non attraverso pronomi o aggettivi a lei evidentemente riferiti, quasi il protagonista volesse proteggerne l'identità e insieme il ricordo:

 

[...]

Eppure un sorriso io l'ho regalato

E ancora ritorna in ogni sua estate

Quando io la guidai, o fui forse guidato

A contarle i capelli con le mani sudate.

[...]141

Un discorso analogo va fatto anche per i titoli dei sette brani centrali del disco, che nella versione originale dell'Antologia di Spoon River coincidono – come abbiamo visto – con il nome e spesso anche con il cognome del personaggio a cui sono dedicati, e che in Non al denaro non all'amore né al cielo, invece, riportano quello che è il dato principale della sua identità sotto forma di sostantivo preceduto dall'articolo indeterminativo (Un matto, Un giudice, Un blasfemo ecc.), anticipandone già in qualche modo la storia.

 

Bisogna notare, a questo proposito, che la scelta di De André di liberarsi anche in questo caso dei rimandi e dei riferimenti al microcosmo di Spoon River non va letta come volontà di ricavare dai personaggi dell'Antologia una rassegna di tipi, o di personaggi simbolici, che siano in tutto e per tutto rappresentativi della caratteristica loro associata; significativo è, per l'appunto, l'utilizzo dell'articolo indeterminativo, a implicare che ogni storia, per quanto indubbiamente segnata dalla suddetta caratteristica, è solo una delle tante possibili, ed è sempre assolutamente unica e individuale.

 

Rispetto ai testi dell'Antologia di Spoon River, peraltro, i brani di Non al denaro non all'amore né al cielo vedono notevolmente accentuata proprio la loro dimensione narrativa, e spesso quello che in Masters non è che uno spunto atto a rimanere impresso nell'immaginazione del lettore viene da De André notevolmente sviluppato proprio in questo senso, così che le storie contenute nelle sue canzoni finiscono per assumere una valenza inevitabilmente allegorica – che il cantautore indirettamente conferma, pur senza mai darne un'esplicita definizione, a Fernanda Pivano:

 

[...] Mi pareva necessario spiegare queste poesie; poi c'era la necessità di farle diventare delle canzoni. Cioè delle storie, e una storia non è un pretesto per esprimere un'idea, dev'essere proprio la storia a comprendere in sé l'idea.142

Se consideriamo, per esempio, l'epigrafe del farmacista Trainor, l'operazione compiuta da De André da questo punto di vista appare immediatamente chiara. Partendo da una poesia di una manciata di versi, infatti, il cantautore elabora insieme a Bentivoglio un testo decisamente più complesso, in cui lo spunto originario fornito da Masters sotto forma di riflessioni sparse viene inglobato in una struttura narrativa che, per quanto mossa, ha un suo svolgimento ben definito, e va a comporre insieme ad altro materiale il nucleo centrale della canzone all'interno di un flashback introdotto dalle immagini dello splendido incipit:

 

Solo la morte m'ha portato in collina

Un corpo fra i tanti, a dar fosforo all'aria

Per bivacchi di fuochi che dicono fatui

Che non lasciano cenere, non sciolgon la brina

Solo la morte m'ha portato in collina.

[...]143

 

Immagini che già contengono, in nuce, quella logica fondamentalmente allegorica della riscrittura deandreiana che trova ulteriore attuazione nel resto del brano, svelandoci esse fin dal principio, in tutta la loro concretezza metaforica, che il tema della scienza, in Un chimico, non è il fine ma innanzitutto un mezzo, un filtro, un espediente per narrare il dramma fondamentalmente umano del suo protagonista.

 

Da un punto di vista stilistico-formale, la caratteristica che, probabilmente, più avvicina i testi dell'Antologia di Spoon River e quelli di Non al denaro non all'amore né al cielo è la narrazione in prima persona, la quale, a sua volta, ci rimanda non solo all'Antologia Palatina – modello letterario diretto di Masters – , ma anche, inevitabilmente, alla Commedia di Dante e in particolare all'Inferno, i cui morti, come giustamente scrive Pavese nel suo saggio su Spoon River che abbiamo già avuto occasione di citare, "sono più vivi che in vita"144. Per quanto riguarda Non al denaro non all'amore né al cielo, se da un lato la narrazione in prima persona può essere senz'altro letta, qui, come l'ennesimo omaggio del cantautore all'opera letteraria a cui egli si ispira per il suo disco, dobbiamo però anche riconoscere che, indipendentemente da Masters, questa scelta si adatta perfettamente a quella che è, fin dagli esordi, la poetica deandreiana più autentica, e alla morale alla sua base che Roberto Vecchioni ben definisce "giustificatoria e non giustiziera".145

 

Morale che, evidentemente, ha nella comprensione il suo strumento privilegiato, e che quindi, a livello di poetica, si concretizza principalmente nell'attitudine di De André a indagare sempre e comunque le ragioni dei suoi personaggi, e fa di brani come ad esempio Un medico – tutto costruito sul divario tra il giudizio che ha bollato per sempre il protagonista "truffatore imbroglione"146 e le nobili intenzioni che lo animavano – la naturale prosecuzione del percorso iniziato quasi dieci anni prima con una canzone come La ballata del Michè, prima ancora che la trasposizione della storia del dottor Siegfried Iseman.

 

Alcune considerazioni, infine, vanno necessariamente rivolte a quegli aspetti che, citando Massimo Vizzaccaro, possiamo definire di "mediazione linguistica, quando non culturale"147, e quindi sostanzialmente al tentativo, da parte di De André e dei suoi collaboratori, di adattare il materiale letterario recuperato dall'Antologia di Spoon River al pubblico italiano dei primi anni Settanta. Il primo, ottimo esempio ci viene offerto già nel secondo brano del disco, Un matto (Dietro ogni scemo c'è un villaggio), laddove, al riferimento di Frank Drummer all'Enciclopedia Britannica, De André e Bentivoglio sostituiscono il riferimento alla Treccani, senza dubbio più familiare nel panorama culturale italiano:

 

[...]

Per stupire mezz'ora basta un libro di storia

Io cercai di imparare la Treccani a memoria

E dopo maiale, Majakovskij, malfatto

Continuarono gli altri fino a leggermi matto.

[...]148

 

Il secondo esempio riguarda invece il penultimo brano, Un ottico, in cui – come abbiamo già anticipato nelle scorse pagine – alla figura di Dippold ereditata dall'Antologia si sovrappone l'immagine di uno spacciatore di allucinogeni, attraverso il quale l'esperienza di espansione della realtà offerta dalle lenti speciali già presenti nel testo di Masters sembra connotarsi, più che altro, come un'esperienza di dilatazione della coscienza simile a quella provocata, appunto, da sostanze allucinogene come l'LSD.149

 

La mediazione culturale, qui, passa soprattutto attraverso la musica e gli arrangiamenti di Nicola Piovani150: alla prima parte del brano, scandita in tempo di valzer da un'orchestrina da ballo – poi ripresa sul finale – e musicalmente vicina, nel complesso, alle altre canzoni del disco, ne fa seguito una seconda dall'atmosfera sonora onirica e rarefatta, dove i cambi di tonalità, il particolare mixaggio usato per la voce e l'arrangiamento scarno caratterizzato principalmente dalla presenza di basso elettrico, tromba e chitarre distorte rimandano immediatamente agli esperimenti musicali legati al rock psichedelico e in generale alla controcultura della seconda metà degli anni Sessanta, di cui Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band dei Beatles è forse l'emblema più celebre.

 

110. Nel 1979 Fabrizio De André e Dori Ghezzi vengono rapiti dalla loro casa in Sardegna da banditi che operano per conto dell'Anonima sarda, e tenuti prigionieri per quattro mesi sulle montagne del Supramonte; cfr. Luigi Viva, Non per un dio ma nemmeno per gioco. Vita di Fabrizio De André, Milano, Feltrinelli, 2002, p. 179.

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111. Si veda quanto già specificato in proposito nel primo capitolo.

112. Cfr. l'intervista a Gian Piero Reverberi in Riccardo Bertoncelli (a cura di), Belin, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio De André, Firenze, Giunti, 2012, p. 73.

113. Cfr. l'intervista di Vincenzo Mollica a Nicola Piovani riportata in Elena Valdini (a cura di), Volammo davvero. Un dialogo ininterrotto, Milano, Bur, 2007, p. 121, e l'intervista di Fernanda Pivano a Fabrizio De André riportata in Claudio Sassi e Walter Pistarini (a cura di), De André talk. Le interviste e gli articoli della stampa d'epoca, Roma, Coniglio, 2008, p. 121.

114. Roberto Dané intervistato da Bertoncelli, Belin, sei sicuro?, p. 87.

115. Gianfranca Balestra, Spoon River e Fabrizio De André: miti a confronto; in Valdini, Volammo davvero, p. 100. La definizione, comunque, si deve fondamentalmente a Roman Jakobson: On Linguistic Aspects of Translation; in Lawrence Venuti, The Translation Studies Reader, Londra, Routledge, 2000, pp. 113-118.

116. Fabrizio De André intervistato da Luigi Bianco (Oggi), Ho imparato a cantare ma non mostrerò mai i denti come Massimo Ranieri, gennaio 1972; in Sassi-Pistarini, De André talk, p. 131.

117. Il fiume Spoon esiste davvero, ma bagna in realtà la cittadina di Lewistown, in cui Masters si trasferì con la famiglia da Petersburg all'età di undici anni.

118. Situate entrambe nello stato dell'Illinois, le due cittadine si sovrappongono, nell'Antologia, nel dare vita al fittizio villaggio di Spoon River; cfr. la nota introduttiva di Guido Davico Bonino a Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, traduzione di Fernanda Pivano, Torino, Einaudi, 2014. Cfr. anche le Note di Luigi Ballerini a Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, traduzione di Luigi Ballerini, Milano, Mondadori, 2016, pp. 559-693.

119. I tre saggi, scritti e pubblicati ad anni di distanza l'uno dall'altro, sono raccolti in Cesare Pavese, La letteratura americana e altri saggi, Torino, Einaudi, 1990, pp. 51-72.

120. Cesare Pavese, Edgar Lee Masters; ne La letteratura americana e altri saggi, p. 52.

121. Ivi, p. 54.

122. Cfr. la nota introduttiva di Bonino all'Antologia di Spoon River, Torino, Einaudi, 2014.

123. "[...] Non c'e dubbio che per un'adolescenza come la mia, infastidita dalla roboanza dell'epicità a tutti i costi [...] la semplicità scarna dei versi di Masters e il loro contenuto dimesso, rivolto ai piccoli fatti quotidiani privi di eroismi e impastati soprattutto di tragedia, erano una grossa esperienza; e col tempo l'esperienza si approfondì individuando [...] la denuncia della falsa morale, l'ironia antimilitarista, anticapitalista, antibigottista [...]"; Fernanda Pivano citata nella nota introduttiva di Bonino all'Antologia di Spoon River, Torino, Einaudi, 2014.

124. Cfr. la prefazione di Fernanda Pivano all'Antologia di Spoon River, Torino, Einaudi, 2014.

125. Pivano nella sua prefazione all'Antologia di Spoon River, Torino, Einaudi, 2014.

126. Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, traduzione di Fernanda Pivano, Torino, Einaudi, 2014; pp. 2-3.

127. Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio (musica di Fabrizio De André e Nicola Piovani), La collina; in Non al denaro non all'amore né al cielo, Milano, Produttori Associati, 1971.

128. La vocale che porta l'accento – sia linguistico che musicale – è la stessa.

129. Fabrizio De André intervistato da Luigi Bianco; in Sassi-Pistarini, De André talk, p. 131.

130. Cfr. l'intervista di Fernanda Pivano a Fabrizio De André; in Sassi- Pistarini, De André talk, p. 121.

131. Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, traduzione di Fernanda Pivano, Torino, Einaudi, 2014; pp. 58-59.

132. L'isolamento per via di comportamenti diversi da quelli della maggioranza è un tema caro a De André, che a esso dedicherà buona parte del disco Anime salve.

133. Fabrizio De André intervistato da Fernanda Pivano; in Sassi-Pistarini, De André talk, p. 121.

134. Si tenga presente il discorso fatto nel secondo capitolo a proposito de La buona novella.

135. Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio (musica di Fabrizio De André e Nicola Piovani), La collina; in Non al denaro non all'amore né al cielo.

136. Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio (musica di Fabrizio De André e Nicola Piovani), Il suonatore Jones; in Non al denaro non all'amore né al cielo.

137. Ibidem.

138. Fabrizio De André intervistato da Fernanda Pivano; in Sassi-Pistarini, De André talk, p. 121.

139. Cfr. Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, traduzione di Fernanda Pivano, Torino, Einaudi, 2014; pp. 190-191 e Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio (musica di Fabrizio De André e Nicola Piovani), Un giudice; in Non al denaro non all'amore né al cielo.

140. Cfr. Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, traduzione di Fernanda Pivano, Torino, Einaudi, 2014; pp. 162-163.

141. Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio (musica di Fabrizio De André e Nicola Piovani), Un malato di cuore; in Non al denaro non all'amore né al cielo. I corsivi sono miei.

142. Fabrizio De André intervistato da Fernanda Pivano; in Sassi-Pistarini, De André talk, p. 121.

143. Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio (musica di Fabrizio De André e Nicola Piovani), Un chimico; in Non al denaro non all'amore né al cielo. Cfr. con Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, traduzione di Fernanda Pivano, Torino, Einaudi, 2014; pp. 38-39.

144. Pavese, Edgar Lee Masters; ne La letteratura americana e altri saggi, p. 55.

145. Roberto Vecchioni, Fabrizio De André, lezione in ateneo; in Valdini, Volammo davvero, p. 154.

146. Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio (musica di Fabrizio De André e Nicola Piovani), Un medico; in Non al denaro non all'amore né al cielo. Cfr. con Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, traduzione di Fernanda Pivano, Torino, Einaudi, 2014; pp. 100-101.

147. Massimo Vizzaccaro, Esplorando ‹‹Spoon River›› sulla rotta Masters- Pivano-De André; in Giovanni Dotoli e Mario Selvaggio (a cura di), Fabrizio De André fra traduzione e creazione letteraria, Fasano, Schena, 2009, p. 84.

148. Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio (musica di Fabrizio De André e Nicola Piovani), Un matto (Dietro ogni scemo c'è un villaggio); in Non al denaro non all'amore né al cielo.

149. Cfr. Fabrizio De André e Giuseppe Bentivoglio (musica di Fabrizio De André e Nicola Piovani), Un ottico; in Non al denaro non all'amore né al cielo e Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River, traduzione di Fernanda Pivano, Torino, Einaudi, 2014; pp. 358-359. La particolare connotazione conferita al personaggio dell'ottico nel disco viene già notata da Pivano nel corso della sua intervista a De André riportata in Sassi-Pistarini, De André talk, p. 121.

150. Per una descrizione più accurata della musica di questo e degli altri brani si veda Raffaele Montesano, "E nemmeno un rimpianto". Dall'Antologia di Spoon River a Non al denaro non all'amore né al cielo, Tavagnacco, Segno, 2012.

 

 

Capitolo IV. Interludio: Canzoni (1974)

 

 

IV – 1. Crisi e ritorno alle origini

 

[...] la Storia di un impiegato l'abbiamo scritta, io, Bentivoglio, Piovani, in un anno e mezzo tormentatissimo e quando è uscita volevo bruciare il disco. Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di aver usato un linguaggio troppo oscuro, difficile, so di non essere riuscito a spiegarmi.151

 

Queste le dichiarazioni di Fabrizio De André a Gigi Speroni, nel corso di un'intervista apparsa sulla Domenica del Corriere nel gennaio del 1974. Storia di un impiegato è uscito da appena qualche mese. All'epoca dell'incontro con Speroni, il cantautore si trova a Milano, ed è impegnato agli studi della Ricordi con le registrazioni delle tracce di Canzoni, che a sua volta uscirà nell'aprile di quell'anno e sarà seguito da Volume 8 nel gennaio dell'anno successivo; Rimini arriverà, a sua volta, soltanto nel maggio del 1978.

 

Si tratta, è risaputo, di anni di crisi. Creativa, innanzitutto, e lo si può evincere leggendo anche il resto dell'intervista sopra citata, in cui un De André amareggiato e fondamentalmente insoddisfatto del suo ultimo concept, nonché spossato dal lavoro quotidiano in sala di registrazione per realizzare un album voluto più dalla casa discografica ormai sull'orlo del fallimento che non da lui medesimo152, si rivela al suo interlocutore più pieno di dubbi e più privo di ispirazione che mai. Crisi, però, fortemente connotata anche in senso personale, e legata tanto alla disillusione seguita al tramonto del movimento sessantottino – a cui De André aveva partecipato, da anarchico, condividendone convinto gli ideali – e alla sua deriva individualistica e violenta, quanto alla difficile situazione familiare dovuta principalmente al lento incrinarsi del rapporto con la moglie.153 Dopo anni di attività compositiva e discografica intensa, caratterizzata da progetti via via sempre più complessi e ambiziosi, il 1974 si apre quindi con la pubblicazione di un disco, invece, fondamentalmente antologico, i cui unici inediti sono costituiti dalle traduzioni – con relativi adattamenti musicali – di alcuni brani di Bob Dylan, Georges Brassens e Leonard Cohen; per il resto, il materiale viene recuperato fra quello già edito in formato di 45 giri durante gli anni Sessanta, e riproposto nei nuovi arrangiamenti di Gian Piero Reverberi.

 

Canzoni si pone dunque a un crocevia, perché se da un lato esso incarna un ritorno – per quanto indiretto e involontario – alla semplicità e all'immediatezza delle origini dopo la parentesi più intellettualistica dei tre concept realizzati tra il 1970 e il 1973, dall'altro porta con sé alcune importanti novità, e in particolare testimonia l'apertura del cantautore a nuovi orizzonti musicali, come vedremo.154 Data la scarsità di brani originali, può non stupire che esso sia, con ogni probabilità, il disco di De André che ha ricevuto meno considerazione in quanto tale; per quanto ci riguarda, però, è proprio questa carenza a costituire paradossalmente motivo di interesse, e a permetterci di confermare e rafforzare ulteriormente le tesi sviluppate nel primo e nel secondo capitolo.

 

In effetti, fra i brani che compongono la scaletta del disco, l'unico a essere in tutto e per tutto opera del cantautore è la Ballata dell'amore cieco (o della vanità), già pubblicata su 45 giri nel 1966 come lato B della Canzone dell'amore perduto; anche in questo caso, tuttavia, la composizione di De André non solo si innesta evidentemente su una struttura letterario-musicale ben radicata nella tradizione occidentale, ma è anche ricca, a livello di testo, di riferimenti letterari recuperati anch'essi da un immaginario ben preciso, seppure filtrati e riproposti attraverso una sensibilità inequivocabilmente contemporanea.

 

Per il resto, la scaletta di Canzoni è composta da brani di altre due tipologie: adattamenti – laddove un testo o una musica già esistenti vengono adattati, rispettivamente, a una musica o a un testo originali – e traduzioni. Alla prima categoria appartengono, innanzitutto, La canzone dell'amore perduto e Valzer per un amore: nel primo caso, come già sappiamo, il testo di De André viene abbinato a un tema sviluppato dall'Adagio del Concerto in re maggiore per tromba, archi e basso continuo di Georg Philipp Telemann; nel secondo, la musica è invece quella del celebre Valzer campestre di Gino Marinuzzi. A questo gruppo, inoltre, appartiene a tutti gli effetti anche La città vecchia, il cui testo viene palesemente composto a partire dall'omonima poesia di Umberto Saba, e intonato su di una mazurca scritta per l'occasione da Elvio Monti.155 Anche questi tre brani, come la Ballata dell'amore cieco, erano già comparsi su 45 giri durante gli anni Sessanta, e vengono qui riproposti nei nuovi arrangiamenti di Reverberi.156

 

Per quanto riguarda invece le traduzioni, Canzoni ce ne offre ben sette esempi. Oltre a Delitto di paese, versione italiana de L'assassinat di Brassens che era già stata pubblicata nel 1965 proprio come lato B de La città vecchia, De André propone in questo disco anche altri due brani del maestro francese da lui tradotti: Morire per delle idee, sviluppata da Mourir pour des idées, e Le passanti, di fatto elaborata dalla poesia Les passantes di Antoine Pol che Brassens aveva a sua volta adattato in forma di canzone; a completare la rosa dei brani francesi c'è, infine, una nuova versione di Fila la lana, presentata qui come "canzone popolare francese del XV secolo" ma in realtà, come abbiamo già visto, tradotta da File la laine di Robert Marcy.157 La vera novità dell'album è però rappresentata, più che altro, dalle tre traduzioni dall'inglese, una lingua con cui De André – pur avendone ricevuto lezioni da Maureen Rix, con la quale aveva tradotto e cantato in italiano la ballata tradizionale Geordie nel 1966 – , intratteneva tutto sommato una scarsa dimestichezza. Il primo e il più complesso dei brani in inglese riproposti in questo disco è Desolation Row di Bob Dylan, tradotto insieme a Francesco De Gregori con il titolo di Via della Povertà; le traduzioni degli altri due – Suzanne e Giovanna d'Arco, dagli omonimi brani di Leonard Cohen – sono, invece, esclusivamente opera di Fabrizio De André.158

 

Anche solo attraverso questa panoramica iniziale, già si noterà come Canzoni coinvolga essenzialmente tre delle operazioni formali descritte nell'ultimo paragrafo del secondo capitolo: la scrittura di brani originali – caratterizzati, però, da un forte debito nei confronti della tradizione – , l'adattamento di testi o musiche già esistenti a musiche o testi originali e infine la traduzione di brani dall'inglese e dal francese. Ciò che più conta, comunque, è osservare ancora una volta come alla base di queste diverse operazioni sia ravvisabile quella tendenza, tipica dell'artigiano, ad assemblare e a rimodellare materiale già esistente conferendogli una nuova forma e inserendolo in un nuovo contesto, in modo da renderlo del tutto originale; tendenza che, a sua volta, conferma un'idea di tradizione fondamentalmente aperta e dialettica. Ecco, quindi, uno schema generale del disco sulla base di quanto detto finora:

 

 

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Prima di passare a un'analisi più dettagliata dei singoli brani, infine, diremo che Canzoni racchiude per noi anche un motivo ulteriore di interesse, connesso proprio con quella forma letterario-musicale già richiamata nel titolo, e omaggiata poi nel corso dell'intero album. La canzone, componimento basato sul principio della stroficità che unisce fin dalle sue origini un testo in versi e in rima a un accompagnamento musicale, e che è quindi per sua natura destinato a una performance orale poi venuta meno nel corso del tempo159, viene qui restituita da De André alle sue caratteristiche originarie e fondamentali: al di là di quelle che sono le palesi differenze – compositive, strutturali e di altro tipo – fra i vari brani, infatti, tutti i componimenti di Canzoni sono classici esemplari di "poesia per musica", dove le diverse strofe del testo vengono applicate a una linea ritmico-melodica e a un giro armonico che si ripetono identici o con piccole variazioni a fronte del suo progredire.160

 

IV – 2. Recupero, assemblaggio, rielaborazione

 

La ballata dell'amore cieco (o della vanità) è, si diceva, l'unico brano di Canzoni a essere stato scritto integralmente, e in modo del tutto autonomo, da Fabrizio De André. Anche in questo caso, tuttavia, già il titolo è indicativo del fatto che, ferma restando l'originalità del componimento, esso non solo si innesta su una struttura appartenente alla tradizione popolare medievale qual è la ballata, ma, soprattutto per quanto riguarda il testo, è anche ricco di riferimenti letterari ben precisi, che si mescolano nel dare vita a un insieme assolutamente originale.

 

A differenza della canzone – evolutasi dalla cansó trobadorica e massima espressione della poesia colta nella letteratura medievale – la ballata è invece, fin dalle sue origini, una forma popolare, destinata non solo all'esecuzione cantata con accompagnamento musicale ma anche, come suggerisce il nome stesso, a una performance simultanea alla danza.

Con la canzone, essa se mai condivide invece il fondamentale principio della stroficità, e cioè l'applicazione di una medesima strofa musicale a strofe testuali diverse, ma accomunate necessariamente da una struttura metrica simile determinata dalla sottostante struttura ritmico-melodica.

 

La ballata, nella sua forma standard, prevederebbe inoltre anche la presenza di un ritornello che si ripete identico tra una strofa e l'altra; il brano di De André, invece, è composto da dieci strofe con testo diverso ma con struttura metrico-rimica e ritmico-melodica del tutto simile, ferme restando le possibili variazioni legate a quella "flessibilità giullaresca" già osservata da Stefano La Via a proposito di Nell'acqua della chiara fontana:

 

Un uomo onesto, un uomo probo

Tra-la-la-lalla tra-la-la-lero

S'innamorò perdutamente

D'una che non lo amava niente.

[...]161

 

Sul modello di questa prima strofa, ogni altra del brano è quindi composta da quattro versi, dei quali il primo, il terzo e il quarto sono per lo più novenari – a cui però spesso si alternano anche versi più lunghi o più brevi a seconda dell'occorrenza; il secondo verso è invece, in otto strofe su dieci, un decasillabo che si ripete identico da una quartina all'altra, e che, interrompendo per un istante il fluire della narrazione e sottraendosi allo schema prevalente a rima baciata, ha piuttosto la duplice funzione di sottolineare l'aderenza della metrica testuale alla sottostante ritmica in due quarti e di supplire alla mancanza di un vero e proprio ritornello che conferisca ulteriore unità alla composizione nel suo complesso. A movimentare la struttura fondamentalmente iterativa del brano e a demarcare, allo stesso tempo, i diversi blocchi narrativi, De André inserisce inoltre – dopo la terza, la sesta, l'ottava e la decima strofa – un intermezzo strumentale dal gusto vagamente jazz, affidato agli ottoni e principalmente alla tromba, la quale, con il suo suono freddo e squillante, ben si adatta a rendere il carattere spietato della protagonista femminile.

 

Oltre all'utilizzo della forma della ballata come struttura testuale e musicale insieme, comunque, il recupero di elementi tradizionali avviene in questo brano anche su un piano più squisitamente e propriamente letterario. Della fascinazione di De André per il Medioevo si è già avuto modo di dire altrove; a questo proposito, si noti come qui sia proprio la forma popolare medievale su cui il cantautore costruisce il proprio brano a consentirgli di recuperare anche tutta una serie di caratteristiche letterarie ad essa connesse. La prima – e probabilmente la più evidente – di queste caratteristiche ha a che fare con i dettagli macabri e cruenti delle richieste che la donna vanitosa fa all'uomo che è ciecamente innamorato di lei, di uccidere la madre e di strapparle il cuore per i suoi cani e di tagliarsi le vene dai polsi fino a morirne.

 

Queste immagini, infatti, non possono che riportarci alla mente quelle, altrettanto macabre e cruente, di molte ballate medievali soprattutto di provenienza anglosassone e angloscozzese, come ad esempio la celebre Edward, il cui protagonista ha la spada sporca del sangue del proprio padre, da lui ucciso su istigazione della madre.162

 

La seconda caratteristica è invece relativa alla valenza evidentemente allegorica dei due personaggi protagonisti della narrazione – anch'essa, del resto, già suggeritaci dal titolo del brano. Come nelle allegorie medievali, infatti, anche qui l'azione non è semplicemente fine a se stessa, ma, al di là di quello che è il suo senso letterale, essa può anche farsi carico di un significato ulteriore proprio attraverso l'identificazione dei due personaggi con il vizio o la virtù da loro personificata. In questa luce, la ballata di De André non è soltanto una storia con un suo svolgimento individuale, ma anche un'allegoria che rappresenta la vittoria finale dell'amore – cieco, e quindi totale e disinteressato al tempo stesso – sulla vanità egoista ed egocentrica che sembrava in un primo momento avere avuto la meglio.

 

L'originalità della Ballata dell'amore cieco, ad ogni modo, risiede principalmente nel fatto che il sostrato medievaleggiante che abbiamo appena descritto, e che riguarda tanto la forma complessiva quanto i richiami letterari concorrenti a livello di testo, viene rivestito dal cantautore di una patina, invece, decisamente moderna, che contribuisce non poco ad avvicinare la composizione a una sensibilità contemporanea. Tale patina, oltre che attraverso gli intermezzi strumentali cui abbiamo già brevemente accennato, si realizza principalmente a livello di testo, e più nello specifico, ancora una volta, di riferimenti letterari.

 

È evidente, infatti, che la figura femminile protagonista del brano corrisponda – al di là delle letture che ne abbiamo dato finora – a un "archetipo classico"163 della letteratura a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento: quello della femme fatale, che ci rimanda immediatamente alle poesie dei simbolisti francesi tanto amati da De André, e soprattutto a quelle di Baudelaire.164 Se, quindi, La ballata dell'amore cieco si innesta da un lato su di una forma eminentemente popolare e associata per sua natura a un contesto performativo squisitamente orale, dall'altro è però anche ricca di riferimenti alla letteratura colta e "d'autore", e ci conferma, pertanto, quanto quella dialettica colto-popolare che nel secondo capitolo abbiamo individuato alla base dell'opera di De André sia feconda e produca, qui, risultati del tutto originali.

 

Mentre nella Ballata dell'amore cieco il recupero della tradizione avviene in modalità fondamentalmente indiretta, per quanto riguarda invece i tre adattamenti presenti nell'album – La canzone dell'amore perduto, La città vecchia e Valzer per un amore – in questi casi siamo di fronte a un vero e proprio utilizzo diretto di materiale preesistente, il quale, opportunamente assemblato e rielaborato, viene appunto adattato a materiale originale. L'operazione funziona in modo del tutto simile per La canzone dell'amore perduto e Valzer per un amore: in entrambi i brani, infatti, De André riprende una musica strumentale opera di un compositore colto, e la adatta alla forma canzone e a un testo invece da lui composto.

 

Il tema che introduce l'Adagio del Concerto in re maggiore di Telemann, quindi, viene abbassato di un tono e posto a introdurre La canzone dell'amore perduto, affidato anche in questo caso a una tromba accompagnata dagli archi, cui si aggiungono qui gli arpeggi di pianoforte e chitarra:

 

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Ciò che più conta, comunque, è che la linea ritmico-melodica e il relativo giro armonico del tema introduttivo si ripetono pressoché identici nelle strofe cantate; segno, questo, che il testo viene elaborato – quantomeno nella versione definitiva, in versi – a partire dalla musica, e non al contrario, come si potrebbe pensare, a prescindere da essa.165 Un discorso simile va fatto anche nel caso di Valzer per un amore, il cui testo viene intonato da De André sulla stessa melodia del Valzer campestre di Marinuzzi166, già introdotta in versione strumentale prima dell'attacco della strofa: